Commento al Vangelo (Gv 1,29-34)
tratto dal Messalino “Sulla Tua Parola" di Gennaio-Febbraio 2020
Strane parole quelle pronunciate da Giovanni il Battista nel Vangelo di questa domenica, strane per noi ma non per l’uomo ebreo di quel tempo che conosceva bene tutta la profondità biblica e rivelatrice dell’immagine dell’agnello. L’agnello era stato l’ultima cena degli ebrei schiavi in Egitto. Il suo sangue, sugli stipiti delle porte, era il segnale dato all’angelo sterminatore di passare oltre e non colpire nessuno di quella casa. Il Battista, indicando Gesù secondo questa categoria religiosa, sta dicendo a tutti i presenti, a se stesso, e oggi lo dice anche a noi, che quell’uomo, che umilmente veniva verso di lui per farsi battezzare, era il qui e ora della misericordia del Padre. Gesù, in fila con i peccatori, è il segno efficace del perdono di Dio. Non c’è più nessuna casa, nemmeno la mia, nemmeno quella di ognuno di noi, sulla quale ha potere l’angelo della morte. La morte è stata vinta pe sempre e non ha più alcun potere sul credente, cioè su colui che decide di poggiare la sua vita e la sua speranza sulla persona del Figlio, che prende su di sé il peccato del mondo. Dopo il battesimo inizia la vita pubblica di Gesù. C’è un mondo che Lo aspetta, che attende la rivelazione del suo amore e della sua provvidenza. Dio stesso rende il suo eletto luce delle nazioni: non è una bravura nostra, non è un compito che possiamo svolgere da soli ma con lui, lasciando che lui agisca in noi e attraverso noi. Solo Gesù corrisponderà pienamente a questa chiamata, ma a noi che siamo il suo corpo spetta l’onore e l’onere di essere un riverbero della sua luce.