sabato 20 aprile 2019

Domenica di Pasqua

La Pasqua del Signore Gesù
omelia di S. E. Mons. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme

Eccoci dunque giunti al giorno tanto atteso. La Pasqua del Signore è la nostra Pasqua! Siamo arrivati anche noi oggi, come Maria di Magdala, come gli Apostoli Giovanni e Pietro, al Sepolcro di Cristo per inchinarci davanti a questo mistero della Sua risurrezione, per accogliere questo dono straordinario che è la Sua vita in noi. Durante tutta la settimana abbiamo celebrato belle e antiche liturgie che hanno voluto ripercorrere anche fisicamente l’esperienza umana di Gesù negli stessi Luoghi. E soprattutto in questo stesso Luogo, dove fu sepolto. E ora che tutte queste belle liturgie stanno per terminare, ci resta ancora da chiederci cosa abbiamo compreso e cosa ci hanno lasciato i tanti e significativi gesti che ci hanno accompagnato in questi giorni. Per molti di noi qui presenti, forse, sono diventati momenti scontati, essendo ormai abituati ad anni di ripetizione di liturgie ben conosciute. […] Anche a Gerusalemme, come in qualunque altra parte del mondo, oggi viene posto davanti alla nostra coscienza il mistero per eccellenza, il nocciolo della nostra fede: la risurrezione. Ce lo ricorda l’apostolo Paolo: “Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la vostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1Cor 15, 14). Oggi Gesù rivolge anche a noi la domanda posta a Marta [...]: “Io sono la risurrezione e la vita… credi tu questo?” (Gv 11, 25-26). Che ne abbiamo fatto di questo mistero? Quanto la coscienza che Cristo sia risorto e che sia vivo in noi ha cambiato ed è determinante per la nostra esistenza?  Forse ci siamo abituati all’idea della risurrezione, al punto da non renderci conto di quanto sia sconvolgente il significato di quel Sepolcro vuoto. Ma basterebbe parlarne ai nostri fratelli non cristiani in mezzo ai quali viviamo, per renderci conto di quanto sia una pazzia, secondo il pensiero umano, credere che vi possa essere una risurrezione. E non mancano nemmeno oggi i moderni areopaghi (cf Atti 17, 32), i vari contesti dove noi cristiani siamo accolti, ascoltati e cercati, dove le nostre opere e i nostri servizi sono apprezzati e desiderati. Dove, insomma, ciò che facciamo è fonte di consolazione e condivisione, dove il nostro annuncio di solidarietà con ogni uomo, il nostro desiderio di pace è condiviso e accolto con gioia. Ma, allo stesso tempo, dove il Cristo risorto non è compreso né voluto, non interessa e forse è anche fastidioso. Eppure questa è la nostra fede. Questo è il nostro annuncio: “Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto” (Mt 28,6). “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto” (Mc 16,6). È un mistero che la nostra mente non può comprendere né spiegare. Può essere solo accolto e custodito nel cuore, con fiducia e amore. È un’esperienza. “Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” (Gv 20,8). “Vedere” nel vangelo di Giovanni significa fare esperienza. È un vedere che coinvolge tutti i sensi, e non solo la vista. Si vede anche con il cuore. E con il cuore pieno di fiducia, piegando le ginocchia di fronte al mistero di questa Tomba vuota, insieme all’evangelista Marco, noi diciamo: «Credo, Signore; aiuta la mia incredulità!» (Mc 9, 24). Qui affermiamo che, nonostante i nostri limiti e le nostre insicurezze, si, noi crediamo! Crediamo che la Pasqua è l’ultimo, definitivo intervento di Dio, nella storia, per tutti. Il più inatteso e il più sorprendente. Crediamo che dopo averci salvato dal nulla, dalla schiavitù, dall’esilio, Dio doveva ancora salvarci da un ultimo nemico, che è la morte e cioè il peccato. Noi crediamo e oggi annunciamo che la morte è ogni luogo della vita dove Dio è assente, dove l’uomo è senza la relazione con Lui. Che questo è il vero fallimento della vita. La vita, infatti, non è senza senso quando ci manca qualcosa, quando sperimentiamo il dolore, la fatica, ma quando ci manca il Signore, quando siamo soli, senza di Lui. La morte si trova dove Dio non è Padre, dove Lui non è sorgente di vita. Dove non siamo capaci di fargli spazio. E oggi noi crediamo e annunciamo che Dio Padre si è fatto spazio nella vita di ciascuno di noi, per sempre. La risurrezione è l’irruzione della sua vita nella nostra [...]. Le bende e il sudario non avvolgono Gesù, ma sono ripiegati su di sé, perché Gesù non è avvolto dalla morte: è avvolto dalla vita che il Padre gli dà.

Auguri di Buona e Santa Pasqua a tutti i Mogoresi!
Il Signore Gesù, risorto da morte e apparso ai suoi discepoli,
ci conceda il dono della pace, della salute e della vera gioia.
                                                                  don Nicola e padre Ernesto


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Nella bacheca, all'ingresso della Chiesa, 
è affisso il calendario dei "Centri d'ascolto della Parola di Dio" 
con Benedizione pasquale delle famiglie (a carattere rionale). 

sabato 13 aprile 2019

Domenica delle Palme

Osanna la Figlio di David, Osanna al Redentor
commento alla liturgia domenicale da "lachiesa.it"

Festeggiamo oggi l’entrata messianica di Gesù a Gerusalemme; in ricordo del suo trionfo, benediciamo le palme e leggiamo il racconto della sua passione e della sua morte. È il profeta Isaia con il suo terzo cantico sul servo sofferente di Iahvè che ci prepara ad ascoltare questo passo del Vangelo. La sofferenza fa parte della missione del servo. Essa fa anche parte della nostra missione di cristiani. Non può esistere un servo coerente di Gesù se non con il suo fardello, come ci ricorda il salmo di oggi. Ma nella sofferenza risiede la vittoria. “Egli spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce”. E, come il suono trionfale di una fanfara, risuonano le parole che richiamano l’antico inno cristiano sulla kenosi citato da san Paolo: “Per questo Dio l’ha esaltato al di sopra di tutto”. L’intera gloria del servo di Iahvè è nello spogliarsi completamente, nell’abbassarsi, nel servire come uno schiavo, fino alla morte. La parola essenziale è: “Per questo”. L’elevazione divina di Cristo è nel suo abbassarsi, nel suo servire, nella sua solidarietà con noi, in particolare con i più deboli e i più provati. Poiché la divinità è l’amore. E l’amore si è manifestato con più forza proprio sulla croce, sulla croce dalla quale è scaturito il grido di fiducia filiale nel Padre. “Dopo queste parole egli rese lo spirito”, e noi ci inginocchiamo - secondo la liturgia della messa - e ci immergiamo nella preghiera o nella meditazione. Questo istante di silenzio totale è essenziale, indispensabile a ciascuno di noi. Che cosa dirò al Crocifisso? A me stesso? Al Padre? 



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